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UN GIORNO COSĖ MITE E CHIARO
di Isabella Leardini - PARCOPOESIA.IT


E’ da poco uscito per Marcos y Marcos il nuovo libro di poesia di Umberto Piersanti, “Nel  folto dei sentieri”. Dopo la trilogia einaudiana questa nuova opera segna un passo diverso, evidente che anche un autore solido come Piersanti, che di una mitografia personale fortissima e radicata ha fatto la propria cifra, può trovare pur restando riconoscibilissimo nuovi topoi, in un percorso anche narrativo che in questo libro compie alcuni temi aperti nelle opere precedenti, ma soprattutto trova dimensioni nuove.

La figura di Jacopo diviene protagonista dell’intero libro, e il romanzo familiare si compie, ricompone il nido anche se altrove rispetto alla cesana urbinate e alla casa in fondo al fosso che i lettori avevano imparato a conoscere. Una nuova figura di madre entra nella poesia di Piersanti e l’autore del luogo forse per la prima volta canta gli interni, la natura diventa anche domestica e la coralità che nei libri precedenti era eredità solitaria della memoria in questo diviene un noi vero e proprio, presente e plurale. Resta Piersanti il più leopardiano dei poeti italiani contemporanei, e ancor di più in questo libro addolcisce la natura anche aspra e pungente della sua lingua, per ritrovare una dimensione più interna e verticale. Ultima annotazione: Roberto Galaverni rileva già da alcuni anni la presenza dell’inverno come stagione d’oro della poesia contemporanea. Certo quest’opera di Piersanti confermerà la tesi, perché è proprio l’inverno il tempo di questo libro, il suo colore, con il ricorrere del gelo, della neve, di tutta l’area semantica del freddo. Eppure, come suggeriscono il frequente richiamo al presepe e perfino la dolcezza delle gemme invernali scelte mirabilmente per la copertina, non è una stagione dura, dell’inverno questo libro ha anche il tepore.

L’autore ha scelto per noi quattro poesie da “Nel folto dei sentieri” Marcos y Marcos 2015
Nella foto la copertina del libro e Umberto Piersanti ritratto da Dino Ignani

Natale nella casa nuova

con  queste mani,
da sempre disabituate
alle faccende,
hai disposto il presepio
piccolo, ma non tanto,
sulla stretta, lunga
cassapanca,
tutto sassi ed erbe,
senza strade e mestieri,
senza gli stagni azzurri
sotto il vetro
o dimore lontane
con i lumi,
qui affondano i pastori
dentro il muschio
e stanno i boscaioli
tra rocce e querce,
lente avanzano donne
con le brocche,
molto, molto più forte
rilucono le stelle
sopra campi remoti
via dalle case

da sempre uomini e piante
e terre e cieli,
pastori coi canestri
e re coi doni,
questa capanna unisce
e rasserena,
dentro le nuove stanze
e i nuovi giorni
oggi sta il padre
insieme con la madre
e a te figlio così
grande e possente,
ma ai giorni della nascita
tornato, dentro
la tua vicenda
fatti eterni

ad altri, remoti
anni, questo muschio
lucente ci riporta,
all’età dei padri,
delle tenere madri
tra gli addobbi azzurri
delle feste,
ad uno ad uno caduti
lungo gli anni,
ora sono ombre
così spesse e vere,
figure dentro il sangue
che trasale

la terra attaccata
sotto il muschio
Jacopo la sbriciola
e dissolve,
nel bel verde apre
squarci e varchi,
ma tu coi sassi
riempi tutti i vuoti,
è più aspro il presepio
ma permane

e quelle rocce fitte
nella panca,
con le sue luci,
a sera,
il pino accende

Dicembre 2012

La neve e il fuoco

tu attraversi padre la bufera
come l’eroe
il fuoco dei palazzi,
la cenere che cade
e che s’addensa,
e non un vecchio
ti grava sulle spalle
ma il figlio che t’afferra
e tace e trema,
sa che la neve
copre le tue ciglia
e il gelo ormai ti blocca
sangue e fiato,
dal fosso poi risale
un riso o un grido,
un’anima ci segue,
forse è dannata

ma tu non temi
le anime ed i vivi,
il gelo che s’incrosta
sui capelli,
i rami che a noi cadono
d’intorno,
tu sai dov’è la casa
e la raggiungi

l’antico che c’aspetta
sulla porta,
il vino e le castagne,
il fuoco alto

e tra la neve
ora ti rivedo,
immobile sul greppo che sprofonda,
subito t’incammini
e vai lontano,
sorpassi Scotaneto
e Camorciano,
le orme più non scorgo
sul gran bianco,
ora tu lo sorvoli
senza sfiorare

di quella casa padre
ho nostalgia,
forse della tormenta
ma alla tua spalla stretto,
del fuoco che c’asciuga
e ci ristora,
nessuna fiamma s’è mai
più alta alzata

Febbraio 2012

Il sogno del cavaliere

il cavaliere sogna,
sereno il volto
nella soffice erba reclinato
e dentro il ferro,
dalle tenere membra
ormai quetate,
da quel corpo
giovane e perfetto
sospeso sugli arcioni
s’allontana
in quella strada bianca
e infinita
tra verdissimi colli,
rade case
e d’umani mattoni
le antiche logge

al cavaliere penso
mentre sopra le nubi
e sopra laghi e strade
passo,
senza destrieri alati,
senza ippogrifi,
e mi trasale il sangue
in questo Aperto
che mi cerchia,
dentro l’immensa sfera
chiude la penna e il monte,
ma la gente sonnecchia
coi giornali
ciondola sulle tazze
e sui sedili
forse perché la meta
loro la sanno
quel quadrato d’asfalto
dove il cielo
improvviso s’arresta
tra muri grigi

ma il cavaliere conosce
la sua meta?
sa dove conduce
la bianca strada?
la meta, quella
neppure la sospetto,
ma le colline sì,
sono le mie,
salgono in fitta cerchia
fino al Petrano

anche quel cigno
il più chiaro e fugace,
tra i ventagli del ginkgo
colto e spiato,
mi restò negli occhi
come sospeso,
fermo su quella riga
che non passa
dove accende la luce
aria e foglie,
e dietro il promontorio
mai s’avvia

forse dietro quel promontorio
e quella strada
c’è un luogo
che li attende,
la vera patria,
quella che sta sempre
oltre il confine

ma questa è un’illusione,
la più tenace
che per tante stagioni
t’ha accompagnato,
e sogna il cavaliere
la bianca strada,
un luogo non l’attende,
il suo cammino
un cammino eterno
e infinito

Ottobre 2012

Mese di maggio

nel piccolo oratorio
dai muri spessi
sale l’incenso,
una nuvola bianca
e il suo profumo
non è di questa terra,
ma del cielo,
un cielo così mite
e così lieto,
non lo turba il santo
alla colonna
e frecce così nere
e così fitte
per il costato scendono
alle gambe,
ma il suo volto è sereno
come l’aria
che nella tela soffia
tra nubi rade
e lontani colli

è qui, di questa terra,
io lo conosco,
anche abile coi sassi
negli scontri,
ha la tunica bianca
e biondi ricci,
dal quadro dell’altare
sembra uscito,
e quel vaso d’argento
lui lo muove
con un gesto semplice
e solenne

maggio coi suoi odori
preme alla porta,
la porta della chiesa
sempre socchiusa

in questi giorni le donne
portano veli
camminano più lente
e trasognate,
le roselline gialle
su per il muro
di quell’orto grandissimo
e sospeso
un profumo mandano
tenace
che il vicolo percorre
tutto intero,
entra dentro i portoni
e li rischiara

non c’è altra stagione
dove la notte
scenda più lunga
e queta tra le case,
io gli odori respiro
all’inferriata,
dormono le sorelle
poco distante
e tutta la famiglia
ora riposa
in un tenero sonno
mai più uguale

sì, momenti perfetti
ci sono stati,
con le foglie e la carne,
senza quel fumo
che alla terra non tende
ma sale in cielo

il sacro che io temo
e da cui fuggo
che nelle cripte oscure
e tra nere vesti
spesso dimora,
m’apparve un giorno
così mite e chiaro

Novembre 2012

 
 
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